A piedi verso Canazei

L’incredibile viaggio di alcuni compaesani, subito dopo l’armistizio, ricordato da Maria di Toni.

Alla morte della compianta Rita Puntel (Rite di Mease) ho incontrato il figlio Sereno e dopo avergli fatto le condoglianze, abbiamo parlato di come la morte oltre a potar via i nostri anziani fisicamente, ci porta via anche un bagaglio di storia e memoria, che non torneranno mai più. Sereno mi ha detto che sua mamma raccontava spesso di un viaggio fatto a piedi fino in Cadore durante la fine della seconda guerra mondiale assieme ad altre ragazze del paese. Incuriosito da questa storia, ho scoperto che tra queste ragazze c’era anche Maria di Toni ed è così che ho deciso di farmi raccontare questo viaggio direttamente da lei. Maria ricorda tutto come se i fatti fossero accaduti il giorno prima e non più di settanta anni fa. Riscaldati dal tepore dello spolert Maria riavvolge il nastro della memoria.

Alla fine degli anni Trenta, mio papà Domenico Reit, Poldo Toniz, Santo da Mestin e Santo da Sjine erano andati a lavorare come muratori in Germania vicino a Monaco di Baviera. Erano nel cantiere edile con a capo il compaesano Nardella fratello di Tonele. Durante l’armistizio dell’otto settembre 1943 mio fratello Cirino, che prestava servizio militare a Fiume, fu fatto prigioniero dai tedeschi e deportato in un campo di prigionia in Germania. Un giorno Nardella parlando con un alto graduato tedesco venne a conoscenza che nel campo di prigionia sotto il suo comando c’era un prigioniero di nome Puntel. Nardella scoperto che si trattava di Cirino informò subito il papà Domenico. Il campo di prigionia era molto lontano dal cantiere del Nardella perciò esso si adoperò, tramite le sue conoscenze, di far trasferire Cirino in un campo di prigionia vicino al paese di Kuchil, dove lavorava il papà e tanti cleuliani. Non solo, Nardella ottenne che Cirino potesse uscire dal campo il sabato per poi tornarci la domenica sera così poteva trascorrere il fine settimana assieme al padre e a tanti compaesani. Nei primi mesi del Quarantacinque in tutta Europa si iniziava a pensare che la guerra stesse per finire perciò anche gli operai di Cleulis decisero di fuggire dalla Germania passando per le montagne e per i sentieri meno battuti portandosi con loro anche il prigioniero Cirino. Così approfittando della “libera uscita” del fine settimana di Cirino scapparono una sera di fine aprile. Domenico papà di Cirino, Poldo, Santo da meste e Santo da Sjine avevano paura di essere seguiti visto che si portavano dietro un evaso ma i soldati tedeschi evidentemente avevano altro a cui pensare e così dopo quindici giorni di cammino arrivarono a Cleulis la vigilia dell’Ascensione (maggio 1945). Mi ricordo che sentii bussare alla porta e quando aprii e vidi mio padre e mio fratello ebbi solo la forza di dire “joi pari, joi fradi” e ci abbracciammo tutti assieme alla mamma piangendo. Durante la fuga dalla Germania, arrivati a Canazei lasciarono i bagagli presso una casa di un conoscente con il proposito di recuperarli i mesi successivi. Così verso la metà di agosto, mio padre e Santo da Sjine accompagnati dalla Gjovanute da Mestin, dalla Rita di Mease e da me partimmo a piedi per recuperare i bagagli lasciati in Val di Fassa. Per me, all’epoca quindicenne, questo viaggio lo vivevo come un’avventura ed ero tutta emozionata. Si camminava tutta la giornata e la sera si dormiva negli stavoli in mezzo al fieno. A Tolmezzo trovammo un camion di americani che ci diede un passaggio fino a Forni di Sopra così, in meno di una settimana, e dopo aver superato il passo Falzarego e il passo Pordoi a piedi arrivammo a Canazei. I bagagli erano intatti dove li avevano lasciati. Mi ricordo che quando siamo arrivati la moglie del padrone di casa stava mangiando delle grosse palle impanate in brodo: erano i famosi canederli che io non avevo mai visto ne tantomeno assaggiato. Partimmo da Canazei il giorno seguente io avevo un enorme zaino con all’interno il baule di mio padre gli altri avevano le valigie. Arrivati a Lorenzago di Cadore stanchi morti aspettammo invano un passaggio fino a Tolmezzo finché alle cinque di sera passò una grande jeep inglese che ci raccolse e dopo due ore arrivammo a Tolmezzo. Visto l’ora tarda Gjovanute e Rita si fermarono a dormire da Agenore un parente che abitava a Tolmezzo mentre io, mio padre e Santo proseguimmo a piedi verso Cleulis. Il cielo era nuvolo e non prometteva nulla di buono ed infatti da lì a poco iniziò a piovere a dirotto. Arrivati sul ponte del Rivat il ponte non c’era più perché fatto saltare giorni prima dai partigiani per bloccare la via di fuga ai tedeschi. Mio padre si accorse di ciò perché un lampo illuminò a giorno il nostro cammino e vide che al posto del ponte era stata messa una passerella in legno. Mio padre attraversò per primo la struttura per vedere se era stabile poi passo Santo ed infine il papà tornò da me per riprendermi e farmi coraggio mi disse: “Tu âs di meti i pîsj dongje dai miei e no tu âs di vêi poure”. Così mentre sotto la passerella correva un fiume di acqua e fango passai sull’altra sponda aggrappata a mio padre. Arrivammo a casa alle due del mattino bagnati fradici, mio padre svegliò la mamma con due sassi lanciati sulle imposte lei scese tutta preoccupata ma allo stesso modo felice nel vederci sani e salvi.

 

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