La morte del Servo di Dio, Giovanni Paolo II. L’elezione del nuovo papa, Benedetto XVI. Quando l’uomo va alla ricerca dei segni
La folla dal passo incerto tagliava la notte. Li vedevi a centinaia. Centinaia di miglia di occhi, che consapevoli del proprio e altrui smarrimento procedevano, senza sosta, indomiti, disordinati. Non li riuscivi a seguire. Non li afferravi, perché erano sfuggenti, imprendibili. Perché forse non erano occhi e neppure folla. Forse erano anime. Anime in cerca di qualcuno o di qualcosa. Le anime dell’umanità: una marea interminabile ammassava piazza San Pietro, in quella notte. La notte più lunga di Karol Wojtila. Da dove venissero non si capiva, perché sbucavano da tutte le parti. Da via della Conciliazione e da Borgo Santo Spirito, da via Ottaviano e da via Porta angelica. Non li contavi più. E da ogni laterale, come bruchi impazziti fendevano la notte e le sue oscurità. Sicché non li vedevi, ma vedevi solo il luccicare dei loro occhi e il riflesso delle candele che stringevano in mano. Scorgevi un silenzio surreale, rotto da litanie di preghiera. «Che cosa andate cercando?». Veniva voglia di chiederglielo, che cosa andassero cercando. Ma non v’era risposta che il silenzio. Surreale e assurdo: hai mai provato a toccare il silenzio? Giovanni Paolo II, il papa che aveva cambiato la storia, il papa di Solidarnosc, della caduta del comunismo, dell’apertura all’ebraismo. Dell’ecumenismo. Il papa delle folle oceaniche, dei cento viaggi in giro per il mondo. Il papa dei giovani bercianti “Giovanni-Paolo–Giovanni-Paolo”, delle carezze ai bambini e delle colombe che gli si posavano sul capo. Il papa dell’abbraccio a Madre Teresa. Il papa delle minoranze etniche. L’uomo venuto da molto lontano. Proprio in quella notte ci avrebbe lasciato. Tutti lo sapevano, lo avevano capito. «Che cosa andate cercando?». Veniva voglia di chiederglielo, che cosa andassero cercando. Eppure non v’era risposta che il silenzio, che si trasformò in disperazione con l’ultimo Angelus, dato alla piazza ma mai letto, di Giovanni Paolo II: «All’umanità, che talora sembra smarrita e dominata dal potere del male, dell’egoismo e della paura, il Signore risorto offre in dono il suo amore che perdona, riconcilia e riapre l’animo alla speranza. È amore che converte i cuori e dona la pace. Quanto bisogno ha il mondo di comprendere e di accogliere la Divina Misericordia!». Se ne andò quando la notte copriva la folla dal passo incerto. Venne il giorno e poi ancora la notte. Di quella terribile mercificazione che si fece del suo corpo tutti videro, tutti seppero, tutti fotografavano. Scattavano. Dio, che macabro rito. «Che cosa andate cercando?». Veniva voglia di urlarglielo, che cosa andassero cercando. Neppure questa volta ci fu risposta. Chi erano? Cosa volevano? Era sempre lei: l’umanità, smarrita e dominata dal male, dall’egoismo e dalla paura. Incredula, si guardava negli occhi. Incredula, smarrita, spaurita: piangeva. Le folle oceaniche si ricompattarono in silenzio, il giorno dei suoi funerali. Giovanni Paolo II stava lì dentro una bara di noce. «Che cosa andate cercando?». Veniva voglia di chiederglielo, che cosa andassero cercando. Cercavano lui. Un segno di lui. Già mancava a sua forza e il suo carisma. Lo trovarono nel vento che, in quel giorno, soffiava su Roma. Lui aleggiava nel vento, sì. Il vento che è spirito di vita. Il vento essenza della vita. Lì c’era la morte, c’era un corpo morto, ma c’era anche la vita. E Lui, in quel vento, che quella mattina soffiava su Roma, sfogliò le pagine del Vangelo che gli avevano messo sopra il corpo morto. Lo sfogliò nel silenzio più assoluto. Quel fruscio di pagine lo rese immortale. Eterno e immortale. Dunque, vivo per sempre. In piazza San Pietro, il bailamme mediatico divampò per un mese. Tutti volevano essere lì e testimoniare. E il sorriso, la gioia sui volti dell’umanità smarrita e dominata dal male, ritornò al suono delle campane a festa che soffocarono il fumo bianco che usciva dal comignolo della Cappella Sistina. Di nuovo arrivavano da tutte le parti, come bruchi impazziti che fendevano il crepuscolo. «Che cosa andate cercando?». Veniva voglia di chiederglielo, che cosa andassero cercando. L’ondata di fedeli accorsa per partecipare all’inizio del ministero petrino del nuovo pontefice Benedetto XVI echeggiava dei colori, dei volti e delle bandiere del mondo. Assaltata l’eterna città, nel weekend di San Marco. Non un albergo libero, zaini enormi con sacco a pelo, metropolitane intasate all’inverosimile, eppure erano lì. Tutti erano lì. “Benedetto, Benedetto” gridavano all’unisono, scandendone le sillabe, giovani e anziani, famiglie con passeggini al seguito. Visiere bardate, occhiale di tendenza, capelli colorati e scomposti, piercing, l’immancabile videofonino per suggellare i momenti più salienti. In mano reggevano striscioni e lunghi pezzi di lenzuolo bianco, di spray graffitatati. Calligrafie infantili, messaggi ora commoventi, ora confidenziali. Era sempre l’umanità. Quelle anime instancabili, indomabili. Variopinte e vive. Lo gridavano il loro essere vive. Fulgide. Bellissime: morte con lui, ma eternamente vive insieme a Lui. «Che cosa andate cercando?». Veniva voglia di chiederglielo, che cosa andassero cercando. Cercavano il giorno. La luce che, forte e accecante, immortale dunque eterna, tornò di nuovo a splendere sull’umanità smarrita e dominata dal male.
Oscar Puntel